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Diritto di opzione e patto di non concorrenza: i nuovi orizzonti della Cassazione

Data: 27 Febbraio 2018
Italia - Diritto del Lavoro Alert
By: Roberto Podda, Ilaria Romano

Con l’importante sentenza n. 25462 del 26 ottobre 2017 (resa nota ed edita solo da qualche giorno), la Corte di Cassazione ha per la prima volta affermato il principio in base al quale il datore di lavoro può riservarsi, fino al momento della risoluzione del rapporto di lavoro o anche ad un momento successivo, la facoltà di attivare o meno l’obbligo di non concorrenza assunto dal proprio dipendente.

Questo il principio di diritto formulato dalla Suprema Corte: “integra un’opzione e non un recesso unilaterale, la scelta del datore di lavoro di non avvalersi del patto di non concorrenza e quindi di liberare il lavoratore dagli obblighi connessi, anche se interviene al termine del rapporto di lavoro” (Cass, sez. lav., 26 ottobre 2017 n. 25462).

La sentenza in esame introduce una rilevante innovazione nell’attuale panorama giurisprudenziale in materia di patto di non concorrenza.

Infatti, prima dell’intervento di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità era costante nel ritenere che il datore di lavoro potesse recedere dal patto di non concorrenza e, quindi, liberare il lavoratore ed esso stesso dagli obblighi connessi, soltanto in epoca precedente al termine del rapporto di lavoro (posto che il diritto di recesso a favore del datore di lavoro fosse contrattualmente previsto) e previa espressa comunicazione di recesso da notificare al lavoratore.

Conseguentemente, al datore di lavoro era fatto divieto di recedere dal patto di non concorrenza contestualmente alla risoluzione del rapporto di lavoro o successivamente ad essa, mantenendo in tal caso il lavoratore il diritto a percepire l’indennità pattuita tra le parti.

Oggi invece, attraverso il meccanismo dell’opzione per la prima volta “sdoganato” dalla Suprema Corte, il datore di lavoro potrà rimandare fino al termine della risoluzione del rapporto o anche ad un momento successivo ad essa (purché contrattualmente stabilito) la decisione di avvalersi del patto di non concorrenza sottoscritto con il proprio dipendente.

Ciò in quanto, secondo i giudici di legittimità, il diritto di opzione pattuito a favore del datore di lavoro non va confuso con il recesso unilaterale dal patto di non concorrenza.

Infatti, l’opzione vale a costituire reciproci obblighi e diritti in capo ai paciscenti soltanto nel caso in cui essa venga effettivamente esercitata dal datore di lavoro. Pertanto, utilizzando lo schema dell’opzione, il patto di non concorrenza diverrà efficace soltanto nel caso in cui il datore di lavoro decida di esercitare l’opzione medesima entro il termine contrattualmente stabilito (prima, contestualmente o anche dopo un certo periodo dalla risoluzione del rapporto di lavoro), così avvalendosi della facoltà di vincolare effettivamente il lavoratore all’obbligazione di non concorrenza.

Al contrario, una volta scaduto tale termine, l’opzione verrà meno e s’intenderà automaticamente rinunziata dal datore di lavoro, trattandosi di un termine di efficacia del contratto. Di conseguenza, le parti dovranno ritenersi libere da ogni vincolo al riguardo, ed al lavoratore non spetterà alcuna indennità.

In conclusione, si comprende come il nuovo principio di diritto affermatosi con la sentenza in commento offra al datore di lavoro l’opportunità di avvalersi di un meccanismo contrattuale diretto a rinviare più in là nel tempo la valutazione del potenziale “danno concorrenziale” che potrebbe essergli cagionato dal lavoratore nel caso in cui questi venga liberato dall’obbligazione di non concorrenza.

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